sabato 12 luglio 2008

prima di partire.

Mi parlano di distese verdi, pascoli e alberi in fiore. Erba verde, pioggia insistente, clima umido, cielo grigio, sprazzi di sole un paio d’ore al giorno.
Mi parlano di locali stravaganti, di dolcezze con capelli rossi, di varie ospitalità.
Mi dicono che io devo stare là per tre mesi, mi dicono che devo.
Sono contento che melo dicano.
E’ un abisso di labirinti il mio io, un susseguirsi di sensazioni, una dietro l’altra, magari diversissime; sentimenti che si pongono davanti ad altri in un semplice momento.
Conto di risolvere una buona parte dei miei confusi esseri interni, conto di trovare varie soluzioni a pensieri che da un po’ mi colpiscono e che non mi fanno vivere bene.
Ma in fondo, il vivere bene cos’è?
E’ avere una bella casa, una bella famiglia, una bella vita, tanti soldi da spendere?
Può essere, molti la pensano così.
Se ci può essere una sicurezza in questa nostra vita, che ogni giorno, stento dopo stento, proviamo a vivere, è la morte.
Nulla di più sicuro c’è in essa, ingannatrice, dea di pensieri lasciati abbandonati, di dimenticanze che riaffiorano ma ormai insensate.
Cosa può fare un viaggio?
Un viaggio lungo intendo. Eccita, immobilizza, impaurisce, distrugge, fa piangere. Nulla di tutto ciò. Un viaggio crea. Nulla da aggiungere. Il viaggio è il sogno delle persone inquiete, delle persone maledette dal Signore, di coloro che non possono in nessun modo trovare una via di luce nelle loro ardue vicende.
Se stessi qui, nello stesso identico posto in cui sono vissuto per 19 anni, per tutta l’estate, penso diventerei pazzo. Non per il posto in sé, radioattivo, sporco, ipocrita, no, a quello ci si fa l’abitudine, il callo.
E’ per tutti gli avvenimenti che si susseguono in un batter d’occhio, che in un qualche modo mi rendono protagonista-antagonista, cosa che per il mio enorme io è bellissima, ma che per gli altri non è.
L’egocentrismo è una malattia, come il fumo.
La voglia e il bisogno di restare sempre nell’occhio del ciclone, ma allo stesso tempo il disagio personale di colui che vorrebbe liberarsi da questa malattia, ma che non riesce a farlo.
Soffro di questa patologia.
Conto di scrivere molto, ultimamente mi dedico anche a letture che scavano ed esplorano gli abissi della psiche umana. Ci navigo in tutto ciò.
Scrivendo scopro, parola dopo parola, ogni mio difetto, ogni singolo particolare che mi rende così come sono, imperfetto, affascinante, odioso, insensibile.
E già solo scrivere una serie di aggettivi che possano rappresentarmi, indica una sorta di egocentrismo.
Mi accorgo che sono pieno di pensieri strani, che penso che solo una persona istruita possa capire. Ma istruita bene.
Mi rendo conto di pensare a determinati avvenimenti, e nello stesso momento, di pensare alle conseguenze che posso avere, se dovessi agire in determinati modi.
E le conseguenze sono spesso brutte; mi vedo di qua, di là, spazzato via da situazioni che mi schiacciano e che in nessun modo potrei mai sostenere. Perché fondamentalmente sono un debole, e i deboli soccombono.

Non voglio mantenere grandi contatti, perché alla fin fine, le persone deludono, io stesso deludo, e gli altri mi deludono.
Non voglio restare in disparte a guardare il cielo, o continuare a soffocare sott’acqua, boccheggiando piccole quantità di aria inquinata.
Ho la possibilità e le capacità di elevarmi, per migliorarmi, per migliorare la comunicabilità tra le persone, per essere un po’ più libero dalle mie catene, che poco a poco, sento che si spezzeranno.
Ognuno ha la sua croce da portar sulle spalle, ognuno è destinato a stare male, a soffrire per l’incomprensione delle persone. Le persone sono stupide e ignoranti.
Perché non devono capire?
La soluzione c’è. Non la follia, non la morte, ma l’indifferenza. Nulla più dell’indifferenza fa male alle persone stupide.
Ma ovviamente svio in continuazione il punto, proprio come nella vita, in cui fuggo ed evado, per lasciar perdere qualunque situazione che possa rendermi più infelice di così.
L’infelicità nel vivere bene.
E ancora una volta fuggo dal presente che mi delude, che mi si mostra sempre più ostile, giorno dopo giorno; e ancora una volta abbandono tutto per lasciarmi trasportare da un aereo che galleggia alto nel cielo.
Forse addirittura impazzirò, in questa più completa e personale immersione, e il solo pensiero di tornare e ritrovare tutto allo stesso posto mi uccide.
Forse davvero ho paura, del futuro e delle scelte. Ma ormai ci sono dentro, e in un qualche modo la mia follia e il mio essere capace di elevarmi al di sopra delle persone ignoranti, mi aiuterà.
La follia pura e la consapevolezza di non essere pazzi, solo leggermente giovani e sprezzanti.
Una follia non patologica, un’effimera malattia che aiuta a cambiare il proprio modo di vedere le cose.
Se uniamo poi il viaggio a questo stato in cui vivo, il cocktail si fa micidiale, le tempie sudano, le mani tremano e il cuore pompa sempre più sangue.

La paura ormai mi perseguita, perennemente. Non posso scacciarla, no, ora posso evitarla, più avanti posso riderle in faccia.

Mi addormento ora, per svegliarmi chissà dove tra tre mesi, tre lunghi mesi di riflessioni e pensieri continui, che possono portarmi in un qualunque dove.

Arrivederci e grazie per il vostro modo sempre cosi esplicito, che da sempre mi turba e mi fa stare chiuso in casa, a scrivere pagine come queste, senza nessun filo logico.